W. Guadagnini - Catalogo Slittamenti, Ed. Danilo Montanari Ravenna-1996

SLITTAMENTI, per Mirella Saluzzo

di Walter Guadagnini


Catalogo mostra spazio espositivo Santa Maria delle Croci - Ravenna

Edizioni Danilo Montanari, 1996


Il foglio d’alluminio come foglio di carta, da piegare modellare dipingere. Estensioni nello spazio d’un pensiero non tanto geometrico, come l’apparenza prima può far immaginare, ma anelante a una totalità di sensazioni che nella geometria può trovare una sua momentanea evidenza formale. D’altra parte, con dipinti e titoli rimandanti a un universo di lirica espansività, s’era presentata alla scena artistica una decina d’anni orsono Mirella Saluzzo. E a una pittura, seppure rigiocata in chiave di reinvenzione tecnica, prima ancora che d’immagine, sembra ancora tornare oggi, come a dimostrare per vie traverse la propria allergia a un preventivo e ormai liturgico codice disciplinare.

Pure, nella vicenda recente della scultura - del suo farsi spazio dei luoghi – s' insediano queste forme; nella vicenda che, nel corso dei Sessanta, ha vissuto una stagione importante (e mai sufficientemente valutata in Italia, come dimostrano i destini mondanamente marginali di Magnoni, Lorenzetti, Icaro, Legnaghi, per non nominare che i maggiori), di riflessione non episodica sia sui portati delle avanguardie storiche che sulle “nuove” concezioni spaziali emerse tra Stati Uniti e Gran Bretagna al declinare degli anni Cinquanta. Una vicenda che, al di là delle nominazioni, ha inteso la struttura dell’opera come campo del possibile: aliena dalla riduzione azzeratrice del minimalismo e disposta invece a compromettersi ancora con un’intelligenza affettiva della forma e della stessa materia, oltre che, ovviamente, dello spazio.

A quella stagione guardano oggi, passate attraverso il fuoco dell’espressività più immediata del decennio appena trascorso, le forme di Mirella Saluzzo. Che non occupano lo spazio, né si limitano a definirlo intellettualmente; ma, fisicamente, lo percorrono, lo attraversano, vi si sviluppano dentro, come il fluire dell’acqua nel greto del fiume. Cogliendo, dello spazio, i bagliori, riflettendoli o impossessandosene, in un dialogo con l’esterno tanto più intenso quanto più la luce prende parte al gioco della forma. La luce è infatti parte fondamentale dell’opera, poiché contribuisce ad accentuarne il carattere di instabilità, di inesausta modificazione percettiva e, insieme, ne rivela il palpito nascosto, il misterioso scivolare in una terra dove il dubbio sentimentale conta più della certezza razionale. Di tali slittamenti - appena accennati, velati dalla sapienza costruttiva con cui le forme s' impongono all’occhio – di tali slittamenti, si diceva, vivono le sculture di Mirella Saluzzo: i piani inclinati, la dialettica costante tra verticale e orizzontale, il gioco delle ombre (e, per tornare a qualche anno addietro, l’esplicita commistione tra natura e artificio), non solo dicono d’un rigore ideativo che poco lascia al caso, o al titanico gesto scultoreo, ma suggeriscono anche una lettura dubitativa, una voluta remise en question dei dati canonici del fare scultura contemporaneo. Come se, in sostanza, Saluzzo aderisse a una grammatica storica della scultura ma la trasformasse poi in una lingua diversa attraverso gli interventi d’una profonda sensibilità che altro non si saprebbe definire se non pittorica.

Il suo stesso far grande, d’altra parte, appartiene ad una fisiologia interna del gesto, non alla sua esibizione o ad un rapporto agonistico con la materia. La stessa mano si muove sulle piccole superfici di fogli appena segnati, che divengono poi un’unica grande composizione.

È l’occhio a chiedere spazio, e libertà di vagare, e non il braccio. Tanto da misurarsi, infine, con una grande superficie d’alluminio, dove tutto giunge a improvvisa sintesi. La volontà della forma di farsi spazio, anche sfidando le due dimensioni, fino a trasformarsi in porzione di cosmo in movimento; la ricerca di una materia che sappia farsi carico di questo anelito, che lo sappia per la sua stessa natura evocare, rendere inconsciamente immagine; la capacità del gesto di nascondersi tra le forme, di rendere visibile senza essere visto.

Essere forma in assenza di gravità, e particolare d’una più vasta totalità: questo, oggi, l’agire di Mirella Saluzzo, queste le misure del suo spazio.